Alessia Taglianetti

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Giornata dell'Africa 2021: quattro canzoni per parlare del continente dimenticato dai media

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Viene celebrata nell’anniversario della fondazione dell’Organizzazione dell’Unità Africana, nata ufficialmente nel 1963 ad Addis Abeba, nel contesto del processo di decolonizzazione.

Anche se l’Organizzazione dell’Unità Africana è stata sciolta nel 2002 e “sostituita” dall’Unione Africana, la data della Giornata dell’Africa, che mira a portare agli occhi del mondo i gravi problemi che ancora affliggono il continente, non è cambiata: 25 maggio.

Secondo Ryszard Kapuściński - reporter e corrispondente estero dell’agenzia di stampa polacca Pap che, tra il 1962 e il 1966, raccontò il periodo di rottura nella storia del continente - nella rivoluzione africana si possono distinguere tre tappe.

  • Nella prima il principale compito del movimento di liberazione nazionale è il rovesciamento del colonialismo e la conquista dell’indipendenza statale. Il processo ha inizio nel 1956 con la conquista dell’indipendenza da parte del Sudan, del Marocco e della Tunisia.
    In questa tappa la lotta politica si appunta contro le potenze coloniali straniere, contro il sistema di sfruttamento e di discriminazione imposto all’Africa dai paesi europei.

  • La seconda tappa della rivoluzione africana inizia a cavallo tra il 1960 e il 1961. In questo periodo oltre metà degli Stati africani ha già raggiunto l’indipendenza, mentre altri sono prossimi a ottenere il diritto all’autonomia statale nel giro di due o tre anni.
    A questo punto emerge un nuovo problema: come si configureranno i rapporti tra gli Stati indipendenti del continente? E ancora: quale sarà la linea politica perseguita dai paesi africani in campo internazionale?
    L’accento principale della rivoluzione africana si sposta dall’esterno all’interno, sul continente, sul piano dei rapporti interstatali in seno all’Africa.
    Gli sforzi per rafforzare l’unità africana portano alla convocazione in Africa della prima conferenza al vertice dei paesi indipendenti africani: Addis Abeba, maggio 1963.

  • Quello stesso 1963 segna l’inizio della terza tappa della rivoluzione africana, caratterizzata dal fatto che l’interesse principale della rivoluzione si sposta sulla problematica sociale all’interno dei vari paesi africani.
    Nel 1963 in molti Stati indipendenti del continente si arriva a rovesciamenti politici, insurrezioni, rivolte, scioperi e manifestazioni di piazza che provocano crisi e cambiamenti di governo.

La suddivisione della rivoluzione in tre tappe va intesa in senso puramente orientativo.
In realtà nessuna di esse è stata portata a termine: in Africa continua a esistere il fronte della lotta anticolonialista, i conflitti e le lotte sociali già in atto continuano come prima mentre ne emergono sempre di nuovi.

L’Africa è un grande e dinamico coacervo di differenti e contrastanti forze, correnti, ideologie, conflitti e situazioni politiche. In Africa niente è ancora pronto, stabile e definito: tutto è fluido, non cristallizzato, embrionale.

L’Africa sta appena iniziando a esistere, ha appena cominciato a prendere forma.

— Ryszard Kapuściński, “Se tutta l’Africa”


Sono trascorsi 58 anni.
In occasione dell’odierno Africa Day, l’Unione Africana ha annunciato l’entrata in vigore della Carta per il Rinascimento culturale africano. Il tema dell’anno, per l’UA, è Arte, cultura e patrimonio: leve per costruire l’Africa che vogliamo.

Obiettivi di maggior interesse per la Carta per il Rinascimento culturale africano sono, tra gli altri, la promozione dell’identità africana, valori condivisi, spirito del panafricanesimo e rinascimento africano.

Dal punto di vista della nostra penisola, i principali media italiani raccontano poco (e male) dell’Africa: lo certifica la seconda edizione de “L’Africa MEDIAta”, rapporto a cura dell’osservatorio di Pavia presentato proprio oggi da Amref Health Africa-Italia.

Il documento propone un’analisi di come l’Africa venga rappresentata dai media e di come sia percepita nell’immaginario dei giovani: in primo luogo è importante notare come, a causa dello spostamento complessivo dell’attenzione dei media verso l’emergenza sanitaria Covid-19, il continente africano sia gradualmente stato eclissato.

Media, scuole, società civile e organizzazioni umanitarie hanno la responsabilità di instillare nei giovani curiosità nei confronti dell’Africa, per non lasciare che le parole più associate ad essa siano esclusivamente povertà, scarsità, guerra e terrorismo.

Lo possiamo fare attraverso la conoscenza e lo studio di un continente immenso. Rispondendo a quelle richieste, arrivateci dai ragazzi nei focus group, di un’Africa di cui sanno molto degli aspetti negativi e poco delle cose normali, come scuola, tempo libero, tecnologia.

Lo possiamo fare semplicemente guardandoci intorno e vedendo le nostre classi, in cui studenti di provenienze e origini diverse crescono insieme, sereni. Lo possiamo fare attraverso i media e la produzione di contenuti, che da quella ricchezza attingano.

— Guglielmo Micucci, direttore di Amref Health Africa-Italia


Per celebrare questa ricorrenza, allora, alziamo il volume e impariamo a conoscere questo continente partendo dal suo ritmo, dalla sua musica e da alcuni dei suoi artisti.

Quattro canzoni per parlare del continente dimenticato dai media

Stand together - African anthem of solidarity against Covid-19

La prima canzone è in realtà un inno alla solidarietà, una “African Anthem” realizzata da 10 tra gli artisti africani più noti. Si tratta di Stand together, prodotta dal nigeriano Cobhams Asuquo in partnership con la Nelson Mandela Foundation e MTV Base.

Gli artisti riuniti rappresentano molteplici parti del continente, dalla Nigeria alla Tanzania, dal Sud Africa al Camerun, passando per Angola, Etiopia e Marocco.

La canzone è stata pubblicata durante l’evento annuale dedicato a Nelson Mandela, promosso dalle Nazioni Unite e presieduto dal segretario generale António Guterres il 18 luglio 2020.

L’argomento centrale dell’evento è stato proprio quello della disuguaglianza, ancor più accentuata dalla pandemia: da questo anno e mezzo si dovranno porre le basi di un nuovo contratto sociale per una nuova era del continente.

Shekere - Yemi Alade, Angelique Kidjo 🇳🇬🇧🇯

La lingua rappresenta un legame di forte identità e di trasmissione della cultura e, in quanto tale, deve essere tutelata. Eppure, ormai da tempo, in alcuni stati le lingue indigene si trasmettono solo a livello orale, con il rischio che possano estinguersi nella prossima generazione o in quella successiva.

Sempre più spesso, però, volontari di tutto il mondo approdano in Africa per “insegnare” una volta l’italiano, una volta il francese, l’inglese, il portoghese, lo spagnolo, magari ora anche il cinese.

Ma qual è lo scopo? Anche la lingua, quando imposta, si trasforma in un’ulteriore forma di supremazia, di potere e di controllo.

Ascoltare la musica di artisti africani, in controtendenza, spinge le lingue indigene anche oltre i confini nazionali: Angelique, originaria di Ouidah in Benin, canta in Fon o Yoruba, lingue del Benin.

Yemi, nigeriana, sa cantare perfettamente in Inglese, ma anche in Igbo, Pidgin, Yoruba, Swahili, Francese e Portoghese. È l’emblema dell’internazionalità e del dialogo tra culture.

Tweyagale - Eddy Kenzo 🇺🇬🇷🇼🇨🇩

In Africa si parlano oltre 2000 lingue indigene. Dopo la lingua Yoruba in Shekere, troviamo la lingua Kinyarwanda dell’ugandese Eddy Kenzo, parlata in Ruanda, Uganda e nella Repubblica democratica del Congo.

Bibia be ye ye - Ed Sheeran, Fuse ODG 🇬🇭

Ed Sheeran non è chiaramente un artista africano, tuttavia nel 2016 ha avviato una collaborazione con Fuse ODG, londinese di origini ghanesi balzato in cima alle classifiche musicali del Regno Unito nel 2013 con il singolo Antenna.

Da questa collaborazione è nata, nel 2016, Bibia be ye ye, scritta in lingua Twi e traducibile grossomodo con “Tutto andrà bene”.

Il video ufficiale è una vera e propria lettera d’amore per il Ghana, dov’è stato integralmente girato da Gyo Gyimah.

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